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Riassunto Promessi Sposi

Riassunto del romanzo "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni

In questa sezione del sito è possibile leggere il riassunto dei Promessi Sposi.

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I Promessi Sposi: riassunto

Manzoni, nell'introduzione al romanzo, si propone di trascrivere un autografo del Seicento (una Historia), che mette in scena la vicenda di umili persone del popolo. Tuttavia, proprio a causa dello stile dell'Autore anonimo, ricco di orpelli retorici e ridondanze caratteristiche della cultura barocca, decide di raccontare la storia, ma in uno stile più immediato e leggibile.

Il manoscritto è in realtà una finzione letteraria che serve ad inquadrare le vicende in uno sfondo storico e ad introdurre un duplice punto di vista, con il quale giudicare gli avvenimenti: uno secondo l'Anonimo, l'altro secondo l'ottica di Manzoni stesso.

L'esordio del romanzo si apre con una descrizione dettagliata dei luoghi in cui si svolgeranno i fatti. Manzoni offre inizialmente una visione quasi aerea del paesaggio per poi scendere in picchiata e descrivere campi e strade, terrapieni, bivi e muriccioli. Il tempo della storia va da 1628 al 1630, durante la dominazione spagnola in Italia.

I protagonisti del romanzo sono due giovani operai tessili, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, che vivono nel territorio di Lecco, vicino al lago di Como.

Tutto è pronto per il matrimonio, ma don Rodrigo, signorotto del luogo, nota Lucia e scommette con il cugino Attilio che riuscirà a sedurla. Per questo motivo vuole impedire il matrimonio ed invia due bravi che minacciano don Abbondio, perché non celebri l'unione tra i due giovani.

Il curato, che non era nato con un cuor di leone, obbedisce immediatamente, quando scopre che l'ordine viene proprio da don Rodrigo.

Renzo si presenta il mattino seguente a casa del sacerdote per prendere accordi sull'ora del matrimonio, ma don Abbondio lo convince a rinviare la cerimonia, adducendo formalità di carattere amministrativo.

Tornando a casa, Renzo però si imbatte in Perpetua e capisce da lei il vero motivo del rinvio. Ritorna a minacciare don Abbondio, ma non ottiene nulla, così decide di comunicare la notizia a Lucia e alla futura suocera Agnese.

Renzo vorrebbe ricorrere alla violenza, preparare un agguato a don Rodrigo, ma Agnese gli suggerisce di appellarsi ad un avvocato, detto Azzecca-garbugli, perché aveva fama di risolvere i casi più intricati. In realtà Azzecca-garbugli rappresenta l'avvocato che tenta di trovare espedienti per proteggere delinquenti e criminali, è il simbolo di una giustizia al servizio dei potenti.

Tra i due nasce un equivoco. L'avvocato scambia Renzo per un bravo ed è disposto ad aiutarlo, ma poi quando capisce che è la vittima e che c'è di mezzo don Rodrigo, lo caccia via brutalmente.

Agnese e Lucia decidono di rivolgersi a fra Cristoforo, cappuccino del convento di Pescarenico, una località poco distante dal paese dei due promessi. Il frate accorre dagli sventurati per confortarli, per incitarli alla speranza; infine decide di affrontare direttamente don Rodrigo per cercare di allontanarlo dal suo disegno perverso, usando le armi della religione e della fede. Don Rodrigo, intuendo il motivo della visita del frate, lo caccia via.

Intanto Agnese elabora un piano per far sposare i due ragazzi. Il matrimonio risulta valido anche senza il consenso del curato, basta che i due sposi pronuncino le frasi di rito davanti al sacerdote e con la presenza di due testimoni.

Lucia si convince e il progetto viene accettato, nell'attimo in cui padre Cristoforo annuncia che il suo tentativo di convincere don Rodrigo a lasciare in pace Lucia è stato fallimentare.

La stessa notte in cui Renzo, Lucia, Agnese si recano da don Abbondio per ingannarlo, don Rodrigo pianifica il rapimento di Lucia che fallisce, perché i bravi trovano la casa deserta, come fallisce il tentativo del matrimonio a sorpresa.

I tre devono riparare al convento di Pescarenico, perché sono stati informati che i bravi, sguinzagliati da don Rodrigo, hanno occupato la loro casa. La campana a martello, fatta suonare da don Abbondio, mette tutti in fuga: Renzo, Lucia, Agnese corrono al convento; i bravi scappano, pensando di essere stati scoperti; accorre la folla spaventata dall'allarme.

Giunti al convento, i tre vengono accolti da padre Cristoforo che ha progettato la loro fuga. Le due donne, con una lettera di raccomandazione, si recheranno al convento di Monza, mentre Renzo, con un'altra lettera, si recherà a Milano, presso il convento dei cappuccini.

Inizia così la separazione dei due sposi e l'allontanamento dal paese, dai loro sogni che ora sembrano irrimediabilmente perduti. A questo si deve aggiungere l'angoscia per un avvenire sconosciuto, misterioso e incerto.

Manzoni dà voce ai pensieri di Lucia che si abbandona e piange segretamente, scacciata a forza dai suoi luoghi, allontanata non solo fisicamente, ma sradicata nell'intimo dai suoi progetti di sposa promessa.

Giunte al convento di Monza le due donne vengono accompagnate dal padre guardiano da suor Gertrude, la "signora" che si occuperà di Lucia e si interesserà quasi morbosamente alla sua vicenda.

A questo punto Manzoni, con un lungo flashback, introduce il racconto delle vicissitudini di Gertrude e del modo in cui era stata costretta dal padre a farsi monaca (si veda: la monaca di Monza), per conservare intatto il patrimonio familiare.

A sei anni la bambina è affidata al convento, dove viene trattata come una regina per persuaderla alla monacazione. Nel convento però Gertrude incontra alcune compagne destinate al matrimonio, che le parlano di una vita alternativa, che attrae maggiormente la fanciulla e che la spinge a cambiare idea.

Tutti i familiari però la trattano con indifferenza, fingono di non amarla più, soprattutto il padre, freddo e ostile, la carica di sensi di colpa a tal punto che la ragazza comincia a credere che forse il convento rimane l'unica via d'uscita.

Diventata monaca non sceglie questa risoluzione per compiere il bene, ma cede alle attenzioni di Egidio, uno scellerato di professione e allaccia con lui una relazione che la renderà complice nell'omicidio di una conversa che sapeva troppo.

Renzo, a Milano, non trovando al convento il padre Bonaventura cui l'aveva raccomandato padre Cristoforo e costretto ad attenderlo, si fa coinvolgere nei tumulti scoppiati per il rincaro del pane. La folla dà l'assalto prima ai forni poi, come un fiume in piena, si dirige verso la casa del vicario di provvisione, che diventa il capro espiatorio della carestia.

È una folla impazzita che chiede giustizia sommaria e non lascia più spazio alla ragione e al buonsenso. Renzo è tra coloro che più si prodiga per far passare la carrozza del cancelliere Antonio Ferrer, giunto per portare in carcere il vicario; in realtà il cancelliere è un concentrato di ipocrisia e di dissimulazione, un degno rappresentante del governo spagnolo.

La folla comincia a diradarsi; si formano dei piccoli capannelli; la gente discute, commenta e anche Renzo pronuncia un discorso in cui afferma che la giustizia sta sempre dalla parte de potenti. Tra i suoi ascoltatori c'è uno "sbirro" in borghese che si offre di accompagnare Renzo in un'osteria e con uno stratagemma riesce a conoscere la sua identità. Renzo si ubriaca e va a letto.

Il mattino dopo viene svegliato bruscamente dalla polizia, arrestato e condotto a Milano ma, grazie all'intervento della folla, riesce a fuggire e a rifugiarsi presso il cugino Bortolo, nella zona di Bergamo, sotto la giurisdizione della Repubblica di Venezia. Qui, sotto falso nome, lavora come operaio in una fabbrica tessile.

La fuga di Renzo, che si allontana progressivamente dalla folla anonima e irrazionale, rappresenta un percorso di espiazione e redenzione che lo conduce a riappropriarsi della sua identità perduta e del rapporto intimo e profondo con Dio.

Nel frattempo la casa di Renzo è perquisita, poiché è considerato uno dei sobillatori della rivolta di San Martino e il conte Attilio, cugino di don Rodrigo, convince lo zio (conte zio), membro del Consiglio Segreto, a far pressione sul padre provinciale dei cappuccini per trasferire frà Cristoforo a Rimini.

Don Rodrigo, dopo aver appreso che Lucia si trova nel convento di Monza, chiede aiuto all'Innominato che, con la complicità di Egidio e Gertrude e con l'aiuto del Nibbio, il capo dei suoi bravi, organizza il rapimento di Lucia.

La ragazza è condotta nel castello dell'Innominato, in attesa di consegnarla a don Rodrigo. Lucia supplica il suo carceriere di aver pietà di lei e gli fa presagire la possibilità di un perdono divino.

A questo punto la crisi dell'Innominato giunge al culmine: trascorre una notte insonne, ripensando alle angherie, ai soprusi, ai delitti commessi e si tormenta nei sensi di colpa. Improvvisamente si vede vecchio e assapora il vuoto della sua esistenza.

È disperato a tal punto che impugna la pistola per uccidersi quando, sul far del mattino, sente uno scampanellio festoso e vede gente che accorre felice nel paese, perché vi era giunto in visita pastorale il cardinale Federigo Borromeo.

Anche Lucia passa una notte travagliata: piange, ma trova conforto nella preghiera e fa un voto di castità a Maria, per impetrare la salvezza.

La mattina stessa l'Innominato si reca dal cardinale, perché vuole trovare un conforto alla sua disperazione. Quando giunge davanti a Federigo, questi lo abbraccia confessandogli che da tanto tempo lo stava aspettando.

L'innominato scoppia a piangere come un bambino, perché ormai ha sperimentato la misericordia. Per prima cosa libera Lucia che trova ospitalità presso don Ferrante e donna Prassede, signori milanesi amici del cardinale, e Agnese ritorna al paese.

Giunge presto la notizia che stanno scendendo nel territorio di Lecco i Lanzichenecchi, mercenari tedeschi, per combattere nella guerra di successione al Ducato di Mantova. Agnese allora suggerisce a don Abbondio e a Perpetua di trovare rifugio nel castello dell'Innominato, che ospita decine di sfollati.

I Lanzichenecchi saccheggiano e devastano i paesi che attraversano e diffondono la peste. Anche Renzo è colpito dal morbo, ma guarisce. Si ammala anche don Rodrigo che viene condotto dai monatti al lazzaretto di Milano.

Renzo, preoccupato a causa del voto di castità accennato da Lucia in una lettera, torna al paese a cercarla e non vi trova nessuno se non don Abbondio.

La peste è passata anche nel Lecchese. Tanti sono i morti, tra questi anche Perpetua.

Rimasto solo, Renzo decide di andare a trovare un suo vecchio amico unico sopravvissuto alla sua famiglia; lungo la strada ritrova la sua vigna abbandonata e devastata e la sua casa nella desolazione più totale.

Dall'amico apprende che Lucia è ospite di don Ferrante, così si avvia verso Milano. Arrivato trova una città desolata. Vuole dirigersi immediatamente alla casa di don Ferrante e chiede informazioni a un passante che lo crede un untore e lo caccia via malamente.

Ad un certo punto la sua attenzione è richiamata da una donna che invoca pietà: l'uscio è stato inchiodato ed è prigioniera in casa con i figli che rischiano di morire di fame, solo perché ritenuti sospetti di peste.

Renzo promette di cercare aiuto. Poco dopo incontra un prete, cui si rivolge per chiedere informazioni sulla casa di don Ferrante e lo prega di soccorrere la donna.

Ottenute le informazioni si incammina e si imbatte in scene disumane e dolorose: in terra cenci sudici, mucchi di vestiti e masserizie, cadaveri, appestati che si trascinano o giacciono moribondi per le strade. Nell'aria miasmi nauseabondi. Tutti pensano ad evitare il contagio che aveva ridotto la popolazione a un terzo. Non erano venute meno solamente le regole di una convivenza civile, ma anche i segni che attestassero l'esistenza di una umanità misericordiosa.

Ad un tratto Renzo assiste ad una scena pietosa: una madre, ancor giovane e bella sebbene con i segni della peste sul volto, depone il corpo senza vita della sua bambina, agghindata come per una festa da tempo attesa e desiderata, sul carro dei cadaveri e paga il monatto, raccomandandogli di non toccarla e di seppellirla come gli era stata consegnata, poi gli chiede di ritornare a prendere lei e la figlia più piccola verso sera, colpite anch'esse dal morbo.

Renzo si commuove davanti alla compostezza e alla dignità della madre di Cecilia, certa di un Bene che vince anche la morte, poi prosegue e arriva a destinazione, ma viene informato che Lucia si trova al lazzaretto. Vorrebbe saperne di più ma, scambiato per un untore, trova scampo solo saltando su un carro pieno di cadaveri.

Sui carri della morte i monatti, con gesti irriverenti e disumani, brindano alla peste e alla moria.

Il carro si ferma nei pressi del lazzaretto. Finalmente qui incontra Lucia, padre Cristoforo, instancabile nel sostegno agli appestati sebbene segnato anche lui dalla malattia, e don Rodrigo, ormai moribondo.

Padre Cristoforo esorta Renzo a perdonare il suo persecutore e scioglie il voto di Lucia. I due promessi tornano al paese e finalmente don Abbondio si decide a celebrare le nozze. Si trasferiscono nel bergamasco; Renzo lavora con il cugino in una piccola azienda tessile, mentre Lucia, insieme ad Agnese, si occupa dei bambini.

I due sposi ripensano spesso alla loro vicenda ed arrivano alla conclusione che la realtà, sebbene negativa, non si può cambiare o evitare, ma si deve affrontare e vivere nella certezza che Dio ha preparato per i suoi figli un destino buono di felicità.

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