Conte zio
Il conte zio nel romanzo "I promessi sposi"
Il conte zio è uno dei personaggi del romanzo "I promessi sposi".
Questo personaggio viene introdotto dall'autore non attraverso una descrizione diretta ma indiretta, per mezzo delle battute scambiate prima con il nipote conte Attilio, poi con il padre provinciale dell'ordine dei cappuccini.
Rappresenta il simbolo di una politica assolutistica fondata non sul sostegno popolare, ma sul credito e l'autorità che nascono dalla complicità con chi detiene il potere e si consolidano attraverso legami ambigui, patti, favoritismi e minacce.
Il conte zio acquista potere dalla sua nullità che, grazie al prestigio derivato dal titolo nobiliare di conte e dalla carica politica di membro del Consiglio segreto, si trasforma in credito.
Questo uomo politico sa bene che tutta la sua forza sta in questo credito: egli non ha mai niente da dire, non ha idee politiche innovative da proporre, ma nell'esaltare quel niente è maestro; rappresenta benissimo la mediocrità e la vacuità del potere politico e si arroga il diritto di disporre degli interessi e dei sentimenti degli altri.
Il conte zio a colloquio con il conte Attilio
Nel colloquio con il conte Attilio, che tiene le redini del discorso con la sua audacia, con la sua inventiva impertinente e la sua irriverenza, vengono delineati alcuni tratti del carattere dello zio: è goffo, vanaglorioso, pieno di orgoglio di classe. Nel suo parlare, nel suo dire e non dire, nel suo gesticolare, nel suo soffiare, nel suo trattenersi e fingere di conoscere grandi segreti, si rivela tutta la sua inconsistenza.
Da questo primo colloquio emerge anche la condizione sociale del conte zio: rappresenta il tipico nobile lombardo decaduto durante la dominazione spagnola e a questa totalmente asservito e impiegato in attività inutili e marginali, solo in funzione di sostegno al potere, anche se si colloca in un contesto più vasto a cui appartengono i nobili aristocratici, marionette a sostegno di una struttura politica fondata sulla falsità e sulla violenza (riferimento nel capitolo 18 dei Promessi Sposi).
Il colloquio con il padre provinciale
Il conte zio e il padre provinciale si incontrano per discutere della decisione da prendere nei confronti di padre Cristoforo.
Sono fin dall'inizio predisposti ad una mediazione e a un accordo, forti di una lunga esperienza diplomatica e politica acquistata nel corso degli anni; è chiaro per loro che in uno scontro il contrasto radicale scontenta tutti, bisogna invece intraprendere la via del compromesso e dello scambio di favori. Il conte zio sa essere persuasivo ma sa anche minacciare, sa incastrare l'avversario.
Lo strumento privilegiato di cui entrambi si servono è la diplomazia: non conoscono le vie estreme e radicali, per cui non capiscono nemmeno un uomo come fra Cristoforo che combatte eroicamente per ottenere giustizia.
Il conte zio rivela tutta la sua meschinità, la sua apparente grandezza e la sua volgarità; Manzoni lo guarda con commiserazione. L'abilità con cui il politico conduce il dialogo mette a nudo l'ipocrisia del padre provinciale, poiché non agisce secondo la coscienza religiosa e tradisce l'abito che porta, non segue la sua missione vocazionale in difesa dei più deboli, pertanto è imperdonabile agli occhi dello scrittore.
Invece l'ipocrisia e l'abilità diplomatica del conte zio discendono dalla tradizione aristocratica e mondana e sono perfezionate dall'esperienza politica (riferimento nel capitolo 19 dei Promessi Sposi).
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