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Riassunto capitolo 25 dei Promessi Sposi

Riassunto capitolo 25 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

In questa sezione del sito è possibile leggere il riassunto del capitolo 25 dei Promessi Sposi.

La notizia della conversione dell'innominato e della liberazione di Lucia si diffonde presto nel paese dei due sposi e in tutto il territorio di Lecco; si abbatte anche su don Rodrigo che, paragonato al cardinale e all'innominato, diventa un omiciattolo su cui si accanisce l'odio pubblico, odio che non risparmia nemmeno i suoi amici e cortigiani. Don Rodrigo rimane rintanato nel suo palazzotto due giorni, poi decide di partire, come un fuggitivo, per Milano.

Il cardinale, che stava facendo visita alle parrocchie del territorio di Lecco, arriva anche a quella di Lucia, dove è accolto festosamente; solo don Abbondio è infastidito da tutta quella gioia baldanzosa e teme anche di dover rendere conto al cardinale del mancato matrimonio.

Tra la folla festante, Federigo riesce a raggiungere la chiesa, fa un discorso al popolo e dà istruzioni su come dovessero prepararsi i fedeli alle funzioni del giorno seguente.

Ritiratosi poi nella casa del parroco, chiede a don Abbondio (introdotto nel primo capitolo dei promessi Sposi) informazioni sui due giovani, senza chiedergli conto del suo rifiuto di maritarli: evidentemente Agnese e Lucia non avevano parlato.

In realtà il cardinale rimanda ad un altro momento il colloquio con il curato, perché intende parlargli con più calma.

Intanto le due donne, ospitate dal sarto e sua moglie (riferimento nel riassunto del capitolo 23 dei promessi Sposi), si danno da fare come possono, lavorando in compagnia l'una dell'altra.

Agnese si immagina un futuro allegro per i due sposi e cerca di fare coraggio alla figlia, infondendole speranza nell'avvenire e fiducia nella Provvidenza, che soccorre sempre i sofferenti. Lucia invece è profondamente addolorata, perché sa che non vi potrà essere un futuro per lei e il suo sposo, in seguito al voto di castità,e si abbandona al pianto e allo sconforto.

Donna Prassede

La vicenda di Lucia era giunta anche agli orecchi di don Ferrante e donna Prassede, che villeggiavano poco distanti, perciò la nobildonna è curiosa di vederla e manda a prendere madre e figlia con una carrozza.

Donna Prassede era fornita di poche idee e di modesta intelligenza: cosa grave questa per chi, come lei, pretendeva di criticare gli altri, correggerli, guidarli moralmente e separare il bene dal male.

Vengono accolte con grande cortesia e donna Prassede si offre di ospitare Lucia, avendo sentito che il cardinale si era incomodato per trovare un ricovero alla ragazza.

Oltre al bene che si può scorgere in questa opera di generosità, vi è anche l'intenzione della nobildonna di correggere moralmente Lucia e di indirizzarla sulla via della rettitudine. È infatti convinta che la ragazza, se ha suscitato il desiderio di don Rodrigo e il fidanzato è una "scampa forche", deve avere dentro di sé qualcosa di torbido.

Lucia ed Agnese  accettano l'offerta e donna Prassede chiede al marito don Ferrante di stendere una lettera da presentare al cardinale Federigo. Poco dopo il cardinale invia una lettiga alla casa del sarto per ricondurre le due donne al loro paese e, letta la lettera, dà il suo assenso, così madre e figlia si preparano a separarsi nuovamente.

Il cardinale Federigo parla con don Abbondio

Terminate le funzioni, il monsignore fa chiamare don Abbondio e chiede conto del suo operato. Il curato tenta di difendersi e risponde che, di fronte alle minacce di morte ricevute, non ha avuto possibilità.

Federigo tenta di fargli capire, anche con toni severi, la gravità della sua scelta; ogni sacerdote ha infatti il dovere di esercitare il proprio ministero anche a costo della vita.

Don Abbondio non capisce, mette davanti sempre la difesa dell'incolumità personale e, con sincerità, afferma di non avere mai avuto coraggio. Il coraggio, ribatte il cardinale, è generato dall'amore per gli indifesi e gli oppressi, che don Abbondio ha dimostrato di non avere nei confronti di Renzo e Lucia.

Il cardinale non aspetta che il curato si giustifichi, ma che si renda almeno conto della sua mancanza.

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