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Impronta ecologica

Che cos'è l'impronta ecologica?

Il termine sostenibilità è stato coniato nel diciassettesimo secolo dagli esperti forestali tedeschi per indicare la quantità di alberi che poteva essere abbattuta in maniera sostenibile, cioè solo quella che sarebbe potuta ricrescere in un tempo accettabile.

Il significato si è poi esteso a indicare un tipo di sviluppo che soddisfi le necessità correnti senza diminuire la possibilità per le generazioni future di soddisfare le stesse necessità.

L'impronta ecologica

L'impronta ecologica è un indice statistico introdotto da Mathis Wackernagel e William Rees nel 1996 per misurare la domanda di risorse da parte dell'uomo nei confronti della natura e il suo rapporto con quello che l'ecosistema Terra può offrirci.

Questo indice è fondamentale per misurare la porzione di ambiente necessaria a produrre i beni e i servizi che permettono un certo stile di vita a una popolazione, e anche ad assorbirne i rifiuti. Il cibo che consumiamo, i beni e prodotti che acquistiamo, i rifiuti che produciamo. Tutto ciò contribuisce a determinare la nostra impronta ecologica, e perciò la pressione che esercitiamo sul pianeta Terra.

Buco nell'ozono, effetto serra, desertificazione, perdita di biodiversità, sono solo alcuni degli sconvolgimenti causati dall'uomo all'ecosistema planetario che, con il passare degli anni, sono diventate vere e proprie emergenze.

L'impronta ecologica si esprime in ettari, e prende in considerazione 6 categorie di superfici produttive:

  • terreni coltivabili;
  • pascoli;
  • zone di pesca;
  • aree edificate;
  • aree boschive;
  • superficie terrestre necessaria per smaltire le emissioni di carbonio.

Dagli anni Sessanta ad oggi, secondo gli studi effettuati da Mathis Wackernagel, l'umanità ha quasi raddoppiato la propria capacità di consumo, passando dal 70% di consumo rispetto alla capacità globale di bioproduttività della biosfera, al 120% (risultato al 1999). Ciò vuol dire che ad oggi stiamo consumando più di quanto la Terra non riesca a produrre, con la conseguenza che il cosiddetto "capitale naturale" di risorse rinnovabili è in continua diminuzione a causa della corsa forsennata ai consumi.

La domanda di risorse naturali dell'umanità è oltre il 50% più grande di ciò che i sistemi naturali sono in grado di rigenerare. Sarebbero necessarie una Terra e ¾ per produrre le risorse necessarie per sostenere l'attuale impronta ecologica dell'umanità, e se tutti gli abitanti della Terra mantenessero il tenore di vita di un cittadino europeo medio, l'umanità avrebbe addirittura bisogno di 2,6 pianeti per sostenersi, anche se il problema ovviamente non riguarda solo l'UE.

Questo superamento globale significa, in pratica, che stiamo tagliando legname più rapidamente di quanto gli alberi riescano a ricrescere, usando acqua dolce più velocemente di quanto le acque sotterranee riforniscano le fonti e rilasciando CO2 nell'aria più velocemente di quanto la natura sia in grado di sequestrare. Il 50% dell'impronta ecologica mondiale è costituita dalla carbon footprint, a causa dell'uso di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas naturale.

Ci troviamo di fronte a un aumento della domanda di materie prime e allo stesso tempo a una scarsità delle risorse: molte delle materie prime e delle risorse essenziali per l'economia sono limitate, ma la popolazione mondiale continua a crescere e di conseguenza aumenta anche la richiesta di tali risorse finite. Questo bisogno di materie prime crea una dipendenza verso altri paesi per quanto riguarda l'approvvigionamento.

Non dobbiamo poi dimenticare l'impatto sul clima: i processi di estrazione e utilizzo delle materie prime producono un grande impatto sull'ambiente e aumentano il consumo di energia e le emissioni di anidride carbonica (CO2). Un uso più razionale delle materie prime può contribuire a diminuire le emissioni di CO2.

Distruzione delle risorse

Nel nostro sistema economico, alla natura ed ai suoi benefici non è stato attribuito un valore di scambio e quindi gli ecosistemi, che forniscono beni e servizi essenziali come terreni fertili, mari produttivi, acque potabili, aria pura, impollinazione, prevenzione delle alluvioni, regolazione del clima, ecc., non vengono considerati dai mercati.

Questa mancanza di valutazione monetaria è una radice del problema. Il tradizionale modello economico lineare, fondato sul tipico schema "estrarre, produrre, utilizzare e gettare" è chiaramente insostenibile.

Ad esempio, l'obsolescenza programmata, cioè la costruzione ad hoc dei difetti in un dispositivo in modo che questo si rompa entro un certo periodo di tempo è una strategia propria del modello economico lineare e comporta un enorme e continua richiesta di risorse.

Inoltre, vale la pena domandarsi quanta parte di responsabilità ha ognuno di noi, singolarmente o come Regione del Mondo, Nazione o Continente, sulla distruzione delle risorse primarie disponibili, per riflettere su quanto poco si fa e quanto ancora si potrebbe o si dovrebbe fare a breve e lungo termine per ridurre l'impatto della nostra presenza sul mondo.

Il Global Footprint Network mette a disposizione un calcolatore online che permette a ciascuno di determinare la propria impronta ecologica. L'Italia dal canto suo è responsabile di una buona fetta di consumi.

L'italiano medio ha un'impronta ecologica di 3,11 ettari (2,21 ettari di ecosistemi produttivi terrestri e 0,9 ettari di ecosistemi produttivi marini.

Facendo un esempio per quantificare meglio la portata di questo impatto, se tutti avessero lo stile di vita di una famiglia italiana media di 4 persone, l'umanità avrebbe bisogno di 2.7 Pianeti Terra (simulazione effettuata nel 2020 in Emilia-Romagna).

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