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Biosensori

Che cosa sono i biosensori?

I biosensori sono dispositivi analitici nei quali matrici polimeriche incorporano biomolecole come ad esempio enzimi o acidi nucleici, ma anche microrganismi o cellule immobilizzate.

Essi sono in grado di rivelare e determinare in modo quantitativo sostanze specifiche grazie all'associazione con trasduttori chimico-fisici.

La funzione dei trasduttori chimico-fisici è infatti quella di rilevare il numero di analiti producendo un segnale a essi proporzionale; in questo modo riescono ad effettuare una analisi quantitativa.

I biosensori possono funzionare in diversi modi:

  • come elettrodi per misure di pH;
  • come elettrodi per misure potenziometriche;
  • come elettrodi per misure amperometriche;
  • come elettrodi per misure conduttometriche;
  • come fibre ottiche per variazione di proprietà ottiche.

Impieghi dei biosensori

L'impiego principale dei biosensori è in campo medico dove - per esempio - possono essere utilizzati nel monitoraggio dell'attività di nervi e muscoli.

Oltre a tale impiego i biosensori possono essere utilizzati - ad esempio - per:

  • il controllo di processi fermentativi;
  • la rilevazione e la determinazione quantitativa di sostanze tossiche come ad esempio il benzene i fenoli e gli altri composti aromatici;
  • il monitoraggio del consumo biochimico di ossigeno (BOD);
  • la rilevazione e la determinazione quantitativa di alcuni composti contenuti negli alimenti.

Storia dei biosensori

La paternità dei biosensori va attribuita al ricercatore statunitense L. C. Clark Jr. che, alla metà degli anni '50, mise a punto un biosensore che permetteva la misura della concentrazione dell'ossigeno disciolto nel sangue.

Nel 1969 G. G. Guilbault e J. Montalvo misero a punto un altro biosensore che permetteva la concentrazione dell'urea nell'organismo.

Pochi anni dopo seguirono biosensori che permettevano la misura "in vivo" di pH, CO2 e O2.

Negli anni si misero a punto altri biosensori.

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