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Relatività ristretta

Che cosa afferma e su quali postulati si fonda la relatività ristretta?

La pubblicazione nel 1873 del "Trattato sull'elettricità ed il magnetismo" da parte di James Clerk Maxwell, rappresenta una pietra miliare nella storia della fisica.

Grazie al suo lavoro, il fisico scozzese era riuscito a sintetizzare mediante quattro leggi, conosciute appunto come equazioni di Maxwell, tutte le proprietà del campo elettrico e del campo magnetico. Ma non solo! Combinando opportunamente queste quattro equazioni, Maxwell riuscì a prevedere l'esistenza delle onde elettromagnetiche, ovvero il fenomeno per cui una perturbazione elettromagnetica, ad esempio una carica accelerata, riesce a propagarsi in tutto lo spazio come variazione di campo elettrico e campo magnetico attraverso onde.

Se da un lato dunque le equazioni di Maxwell rappresentano un importantissimo punto di arrivo della conoscenza umana nei confronti di tali fenomeni, dall'altro aprono una grossa questione.

Le onde elettromagnetiche ipotizzate da Maxwell e sperimentalmente verificate dal fisico tedesco Hertz nel 1888, godevano infatti di una bizzarra proprietà per cui la velocità finita con cui esse si propagano (c = 299792458 m/s nel vuoto) era sempre la stessa indipendentemente dalla velocità della sorgente che le emette, cioè indipendentemente dal sistema di riferimento considerato.

Questo comportamento era in completa contraddizione con la meccanica galileana per cui valeva invece per tutti i corpi la legge di composizione delle velocità.

Consideriamo ad esempio un treno che si sta muovendo a una certa velocità Vtreno ed un oggetto a bordo del treno, ad esempio una palla, che si sta muovendo quindi insieme al treno alla stessa velocità ma che ad un certo punto viene lanciata nella stessa direzione in cui si sta muovendo il treno.

Per un osservatore a terra la velocità Vpalla sarà pari alla somma della velocità con cui si sta muovendo il treno più quella a cui si muove la palla rispetto al treno.

velocità palla osservatore a terra

Ora consideriamo la stessa situazione del treno in movimento ma questa volta ad essere lanciato nella stessa direzione di spostamento del treno è un raggio di luce.

Secondo la logica della meccanica classica un osservatore a terra dovrebbe rilevare una velocità della luce pari a c + Vtreno tuttavia la velocità che verrà rilevata è sempre c, così come previsto dalle equazioni di Maxwell.

velocità luce osservatore a terra

Questa contrapposizione rende le due teorie fondamentali della fisica classica, quella della meccanica, nella forma enunciata da Galileo, e quella dell'elettromagnetismo di Maxwell, incompatibili tra di loro.

Possibili soluzioni di conciliazione tra le due teorie

Il contributo risolutivo alla contraddizione tra meccanica classica ed elettromagnetismo relativamente alla costanza della velocità c della luce indipendentemente dal moto del sistema stesso o della sorgente da cui la luce è generata, arriverà soltanto nel 1905 grazie alla pubblicazione della Teoria della relatività ristretta di Albert Einstein. Quindi ben 32 anni dopo la pubblicazione del Trattato di Maxwell.

In questo trentennio di fine Ottocento il dibattito tra i fisici sulla questione fu intenso.

1) Forse le equazioni di Maxwell erano errate o per esse non valeva il principio di relatività galileano mentre per la meccanica sì?

No, le equazioni di Maxwell erano corrette, descrivono perfettamente tutti i fenomeni elettrici e magnetici e prevedono correttamente che la velocità con cui si propaga il campo elettromagnetico è sempre c in qualsiasi sistema di riferimento.

2) Allora forse esiste un sistema di riferimento privilegiato in cui la luce si muove indipendentemente da tutto?

Già lo stesso Maxwell per dare una risposta a questa apparente contraddizione tra meccanica ed elettromagnetismo, propose l'idea dell'esistenza di un sistema di riferimento privilegiato proprio della luce, in cui essa viaggiava alla sua velocità.

A questo sistema di riferimento fu dato il nome di etere, ripreso dalla vecchia filosofia aristotelica che chiamava appunto etere il quinto elemento, che al di sopra della sfera terrestre fatta di acqua, terra, fuoco e aria, ne costituiva la trama all'interno del quale tutto si svolgeva.

L'esistenza dell'etere, all'interno del quale l'universo doveva essere immerso, spiegava dunque come poteva la luce propagarsi nel vuoto, che non sarebbe stato più tale in quanto immerso nell'etere, e soprattutto poteva risolvere il grosso problema dell'invarianza della velocità costante della luce.

Sfortunatamente Maxwell non visse così a lungo da poter assistere ai risultati degli studi sperimentali effettuati dai fisici statunitensi Michelson e Morley che tra il 1881 e il 1887 effettuarono delle precisissime misurazioni della velocità della luce durante diversi periodi dell'anno.

Infatti considerando che la Terra ruota attorno al Sole, se fosse esistito davvero l'etere ed essendo la velocità media di rotazione della Terra lungo la sua orbita v = 30 km/s (chilometri al secondo), durante il suo moto la Terra si sarebbe dovuta muovere per metà orbita in favore della velocità della luce nell'etere e nella seconda metà in direzione sfavorevole.

I fisici dunque si aspettavano di rilevare una velocità c+v e c-v nei diversi esperimenti svolti.

Anche se i 30 km/s rispetto ai 300000 km/s erano irrilevanti bastavano con una precisa misurazione per poter provare o smentire l'esistenza dell'etere. In tutti gli esperimenti la velocità misurata era sempre c, dunque l'etere non esisteva!

3) Allora sono forse da riscrivere le leggi delle trasformazioni di Galileo?

L'unico modo di rendere le equazioni di Maxwell invarianti rispetto a qualsiasi sistema di riferimento inerziale (cioè un sistema di riferimento che si sta muovendo a velocità costante rispetto a qualcosa di fisso) era riscrivere le trasformazioni di Galileo.

In particolare nel 1904 il fisico olandese Lorentz propose un nuovo modello di equazioni rispetto a quelle di Galileo della meccanica classica. Tali trasformazioni sono dette appunto trasformazioni di Lorentz:

trasformazioni di Lorentz

In tali equazioni si evince come la coordinata temporale si modifica in ogni sistema di riferimento in base alla velocità posseduta, tanto quanto si modifica anche la coordinata spaziale.

Le trasformazioni di Galileo risultano valide come un sottocaso delle più generali trasformazioni di Lorentz quando la velocità del corpo è molto inferiore a quelle della luce ovvero nell'ipotesi v<<c (ovvero nei casi di tutti i giorni).

Lorentz propose solo un modello matematico per far tornare i conti con le equazioni di Maxwell, ma non ne spiegò il senso fisico. Anzi lo stesso Lorentz credeva ancora nell'ipotesi dell'etere.

L'interpretazione corretta di come stavano davvero le cose arrivò solo nel 1905 con la pubblicazione della teoria della relatività ristretta da parte di Albert Einstein.

I due postulati della relatività ristretta

La pubblicazione dell'articolo "Elettrodinamica dei corpo in movimento" avvenuta nel 1905 da parte di Albert Einstein nella rivista Annalen der Physik, pone le basi della relatività ristretta.

Essa si basa su due postulati o assiomi, ovvero due verità per assunzioni, che si assumono vere senza dimostrazione in quanto nessuno mai potrà negarne la validità.

I due postulati della relatività ristretta sono:

- tutte le leggi della Fisica sono le stesse in ogni sistema di riferimento inerziale;

- la velocità della luce c nel vuoto è la stessa in ogni sistema di riferimento inerziale, indipendentemente se la sorgente da cui la luce è emessa sia in quiete o in movimento e indipendentemente dal moto del sistema stesso.

Questi due postulati hanno riscritto la fisica consacrando il genio di Einstein a un posto speciale nella storia per sempre.

Significato dei due postulati

Il primo postulato è un'estensione del principio di relatività galileana che affermava invece che "le leggi della meccanica sono le stesse in ogni sistema di riferimento inerziale".

Einstein estende non solo alle leggi della meccanica ma anche a quelle dell'elettromagnetismo di Maxwell la validità in ogni sistema di riferimento inerziale. Dunque se sia le leggi della meccanica sia quelle dell'elettromagnetismo sono valide bisogna ammettere che la velocità della luce rimanga sempre costante in ogni sistema di riferimento inerziale.

Il secondo postulato allora discende direttamente dal primo affermando che se la velocità della luce non fosse una costante universale valida per ogni sistema, allora bisognerebbe ammettere l'esistenza di un sistema di riferimento privilegiato in cui la luce si muove, l'etere, che come già visto era stato smentito dagli esperimenti di Michelson e Morley.

Conseguenze della teoria della relatività ristretta

Il lavoro di Einstein non fu accolto bene dalla maggior parte della comunità scientifica dell'epoca. Risultava talmente straordinario e rivoluzionario che le conseguenze dei due postulati provocarono sconcerto tra i fisici del tempo e non solo.

Questa coscienza della crisi di un modello che si credeva valido e perfetto verso un modello alternativo e diverso, influenzò anche la produzione artistica, letteraria e filosofica dell'epoca profondamente.

Tant'è vero che a causa di questo scetticismo, Einstein riceverà il premio Nobel non per la relatività bensì per la spiegazione dell'effetto fotoelettrico.

Inoltre la mancanza di prove sperimentali che le cose stavano davvero così, non aiutava il fisico nella divulgazione della sua nuova teoria e nel convincimento dei fisici del tempo.

In particolare, gli scienziati mal volentieri accettavano il fatto che essendo la velocità della luce invariante rispetto al moto di un sistema, allora necessariamente il tempo non era più una grandezza assoluta valida per tutti, così come si era creduto da sempre, ma dipendesse dalla velocità di chi la sta misurando.

Per cui due osservatori in movimento avrebbero valutato diversamente tra di loro lo scorrere del tempo.

Inoltre, una misura di lunghezza eseguita da più osservatori in movimento tra di loro avrebbe portato a risultati diversi.

Si osserva in particolare una dilatazione dei tempi e una contrazione delle lunghezze relativamente all'osservatore che è in moto.

Infine, altra grande paradossale conseguenza della teoria della relatività sarebbe risultato il superamento del concetto di simultaneità tra due eventi.

La simultaneità

Secondo la definizione data da Einstein, due eventi si dicono simultanei in un certo sistema di riferimento, se la luce emessa da essi giunge in un punto equidistante le due sorgenti nello stesso istante di tempo.

simultaneità

Una delle conseguenze dei due postulati della teoria della relatività ristretta è che due eventi che risultano simultanei in un sistema di riferimento, possono non risultarlo in un altro sistema che si trovi in movimento rispetto al primo.

Questo perché un osservatore la cui velocità sia rilevante rispetto a quella della luce e che si muova verso uno dei due punti da cui è emessa la luce, allora percepirà un evento prima dell'altro in quanto la velocità della luce è sì elevata ma comunque finita.

simultaneità relatività

Nella nostra vita quotidiana, le velocità che raggiungiamo sono così trascurabili rispetto a quella della luce che tali effetti non sono affatto percepibili.

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